Capitolo III

3.1 Il viaggio e la coscienza

L’esperienza di Shingo si può inscrivere all’interno di una doppia serie di sistemi di riferimento: le coordinate spazio-temporali e quelle della coscienza.

Egli si trova in perenne viaggio: ci viene mostrato in movimento fin dal principio del romanzo1. Oltre al mondo di Tōkyō, dove lavora, e a quello di Kamakura, dove vive, nei pensieri di Shingo si trova Shinshū, la sua località natale e d’infanzia. I suoi viaggi, quindi, si svolgono nell’ambito di queste tre luoghi, ciascuno con una valenza simbolica ben precisa.

Tōkyō rappresenta il mondo della cruda realtà. Si tratta non solo del luogo dove Shingo lavora, simboleggiante quindi la responsabilità e gli obblighi, ma ha a che fare anche con la lontananza dalla natura, con il traffico caotico. Qui l’amica di Kikuko e successivamente Kikuko stessa finiscono per abortire. A Tōkyō viene ricoverato l’amico di Shingo malato di fegato e sempre qui muoiono e si celebrano i funerali di tutti gli altri amici del protagonista. E’ il luogo della morte. Kamakura, invece, è una località intermedia tra inferno e paradiso. Per Shingo simboleggia il contatto con la natura, è la sua casa, una specie di limbo tra il luogo della sofferenza e la felicità. Tuttavia, nonostante il forte potere rigenerativo del posto, Kamakura non è ancora “i giardini del paradiso2. L’aspirazione dei sogni di Shingo è pero Shinshū (信州)3, il suo paese natale. Esso è così importante perché rappresenta l’infanzia, la spensieratezza, i ricordi della sorella di Yasuko, bella e pura. E’ il luogo dove Shingo vorrebbe tornare alla fine di questo viaggio. Si tratta di un vero e proprio spazio a sé stante, distante sia da quello degli uomini che da quello della natura.

I tre mondi si riflettono anche nelle tre distinte cerchie famigliari che fanno capo al romanzo: la famiglia Shingo-Yasuko, quella Shūichi-Kikuko, infine il trittico Fusako-Satoko-Kuniko.

La triplice evoluzione del romanzo è visibile anche a livello temporale: tre, infatti, sono i tempi dell’opera. Il passato rappresenta il luogo della memoria, dove Shingo rivive i suoi momenti e dove sopravvivono le figure della bellissima cognata e del marito. Il presente è dove si svolgono gran parte degli avvenimenti quotidiani e si assiste al passare ciclico del tempo. Infine il futuro, che ha a che fare con l’inesorabile avvicinarsi della cessazione della vita.

Come un fiume che scorre parallelo alla metafora del viaggio, c’è quella della presa di coscienza del protagonista. Shingo passa attraverso diverse fasi, nell’arco del breve tempo d’ambientazione del romanzo. In principio, egli prende coscienza del suo problema: la perdita di memoria e la morte incipiente. In secondo luogo, reagisce cercando di fermare la spinta temporale, responsabile del decadimento fisico ed intellettuale e dell’avvicinarsi della fine: ciò lo otterrà con tre diverse modalità: il ricordo, i sogni e le fantasie di sonno secolare. In terzo luogo, cercherà di abbandonarsi alla corrente, come le trote nel corso del fiume, nella scena finale del romanzo.

Se poi seguirà davvero questa indicazione datagli dalla natura non possiamo saperlo: Kawabata ha lasciato le porte aperte a vari sviluppi.

  1. La prima presa di coscienza di Shingo: oblio e memoria

Fin dall’inizio del romanzo, la perdita di memoria sembra essere una caratteristica portante della figura di Shingo. Egli si trova in treno con il figlio:

«Mmmm, com’era…..?»

In quei momenti, Shingo trovava difficile perfino formare le parole.

«Come si chiamava la cameriera che se n’è andata qualche giorno fa?»

«Ti riferisci a Kayo?»

«Ecco, era Kayo. Quando se n’è andata?»

«Era giovedì scorso, perciò cinque giorni fa.»

«Cinque giorni fa? Sono solo cinque giorni che ha dato le dimissioni e non mi ricordo né il viso né l’abbigliamento. Sono esterrefatto!»4

Shingo non ricorda il nome della cameriera, che ha dato le dimissioni solo cinque giorni prima. Insiste sul riferimento temporale: la parola “cinque” viene ripetuta per ben tre volte. Shingo stesso dice di essere “esterrefatto”.

Sono le prime avvisaglie del deterioramento della memoria: Shingo mano a mano finirà con dimenticare perfino le cose più banali, più trascurabili, ma forse più ovvie. La parte successiva del brano è illuminante:

Anche se Shingo stesso c’era abituato, provò comunque una certa paura. Per quanto si sforzasse di ricordarsi di Kayo, non emergeva nulla chiaramente. Quegli sforzi inutili lasciavano qualche volta il posto al sentimentalismo.

Anche in quel momento era così: Shingo cercava di ricordarsi Kayo che protendeva entrambe le mani nell’anticamera. Si ricordava della sua figura che, messa così, leggermente chinata in avanti, diceva: «Forse è un ozure5».

Shingo pensò che alla fine l’unica cosa che gli si fissò nella memoria della cameriera Kayo, che era rimasta per sei mesi a servizio, era quella frase nell’anticamera. Shingo ebbe la sensazione della vita che sfuggiva via.6

Shingo si trova di fronte ad una situazione abituale per lui, la perdita di memoria. Eppure prova comunque una certa paura. I suoi continui sforzi per ricordarsi il nome della cameriera non approdano a niente. Anzi, si parla di “sentimentalismo7. E’ un approccio alla vita che Shingo ha in comune solo con Kikuko8. Di certo né Shūichi, né la moglie e tanto meno la figlia Fusako si abbandonano al sentimentalismo, né possono capire la vera entità del problema del vecchio. Nonostante l’evidente défiance della memoria, Shingo ricorda a tinte vivide la figura della cameriera descritta in una particolare situazione. La delicatezza visiva del linguaggio di Kawabata riesce a rendere, con pochi tratti, l’idea della donna di servizio, la quale non compare nel romanzo se non in questo brano. Immediatamente legato al ricordo della donna è il pensiero di Shingo: “…ebbe la sensazione della vita che sfuggiva via”. C’è un legame tra l’immagine nella memoria di Shingo e la vita che fugge via: quella sequenza è tutto ciò che resta della cameriera Kayo, cioè sei mesi della vita di Shingo. Quel periodo vissuto a stretto contatto con la cameriera è condensato in quell’unico paragrafo. La consapevolezza della fugacità del tempo e dell’imperfezione della sua memoria provocano in Shingo, da un lato, un sentimento di tristezza per ciò che viene perduto, dall’altro la percezione della bellezza9 dell’attimo, che esprime la “essenza”10 della cameriera condensata in una piccola scenetta. Paradossalmente, è tramite la stessa capacità di memoria che Shingo mette in moto, inconsapevolmente, questo processo. E’ il principio della reazione di Shingo.

Siamo di fronte, perciò, ad un duplice aspetto della memoria: da un lato essa viene meno giorno dopo giorno, in particolare per quelli eventi vicini nel tempo e legati ad aspetti peculiarmente quotidiani. Dall’altro essa è allo stesso tempo vivida nelle condensazioni e nelle manifestazioni di oggetti lontani nel tempo e di una particolare rilevanza emotiva per il protagonista.:: Si tratta

La perdita di memoria, quindi, è per Shingo il sintomo di qualcosa di molto delicato. E’, infatti, strettamente connessa con la decadenza fisica che preannuncia la morte che si avvicina. Allo stesso tempo, però, il disfacimento della memoria sembra essere la scintilla che causa e porta con sé la possibilità di percepire la bellezza intima delle cose:

Yasuko e Kikuko guardarono entrambe alla montagnola dietro la casa.

«Capita che le montagne suonino?», chiese Kikuko.

«Una volta l’ho sentito dire da te, mamma, vero? Prima che morisse tua sorella, mi pare dicesti di avere sentito la montagna suonare».

Shingo trasalì. Pensò che era del tutto imperdonabile essersene dimenticati. Come poteva non essersene ricordato quando sentì il suono della montagna?

Kikuko sembrò pentita di averlo detto, se ne stava immobile con le sue bellissime spalle.11

Shingo, Yasuko e Kikuko stanno parlando della notte in cui Shingo ode il suono della montagna. Egli non è sicuro di averlo sentito, lo attribuisce alle sue orecchie che forse non funzionano più come dovrebbero. Quindi chiede a loro se una montagna ha la capacità di “suonare”. Ma Kikuko ricorda, invece, quando ha sentito per la prima volta nominare quel suono: era il preannuncio della morte della sorella di Yasuko che, attraverso la montagna, si mostrava a Yasuko stessa. Ancora una volta si presenta quello che potremmo chiamare “il paradosso della memoria”, parafrasando Pilarcik12: se lo stesso ricordo, da un lato, mette in risalto il decadimento di Shingo e lo scorrere inesorabile del tempo, dall’altro mostra, in modo delicato, la bellezza e la singolarità di quell’istante. Se è vero che Shingo dimentica addirittura che il suono della montagna è indissolubilmente legato alla morte dell’amata, è attraverso quel “mancato ricordo”, in questo caso, che viene mostrata la preziosità e l’unicità di quell’attimo. L’immagine conclusiva, infatti, è quella di Kikuko che muove le spalle, un gesto che ispira bellezza a Shingo, fin da quando Kikuko va da abitare a casa sua.13 Le bellissime spalle sembrano, perciò, in contrasto con l’immagine dell’oblio e della morte contenute poco prima. E’ come se la linearità della narrazione, immancabilmente tragica nei suoi sviluppi, subisse dei rapidi stop, i quali portano alla luce gli abissi della memoria, un po’ come avviene in questo brano, dove viene portato alla ribalta il furoshiki14usato da Fusako per avvolgere le sue cose prima di arrivare a casa di Shingo:

«Sì, il furoshiki. Quel furoshiki a vederlo mi dice qualcosa, ma non mi ricordo cosa, è nostro?»

«Quel grande furoshiki di cotone? Non è servito ad avvolgere lo specchio della specchiera, quando Fusako si è sposata? Era uno specchio grande.»

«Ah, ecco.»

«Non mi è piaciuto quando ho visto quel furoshiki. Penso che avrebbe potuto usare qualcos’altro per avvolgere le sue cose, magari infilarle nella valigia che ha adoperato per la luna di miele.»

«La valigia è pesante. Lei aveva due bambine. Non poteva curarsi di come appariva.»

«Però poteva pensare alla figura fatta di fronte a Kikuko. Quel furoshiki l’ho usato io per avvolgere qualcosa quando ci siamo sposati.»

«Ah è così?»

«E’ molto più vecchio. E’ un ricordo di mia sorella. Dopo che è morta, quel furoshiki è servito per avvolgere un vaso da fiori per restituirlo alla famiglia di lei. Si trattava di un grande bonsai d’acero.»

«Si?», rispose dolcemente Shingo, mentre lo splendore dell’acero bonsai sfavillò in pieno nella sua testa.15

In principio Shingo non capisce perché Yasuko ritiene sia di cattivo auspicio aver usato proprio quel furoshiki. La moglie, che in questo senso è molto più acuta di lui, gli ricorda che proprio quel furoshiki era servito per avvolgere il bonsai d’acero della sorella morta. Ancora una volta Shingo sembra dimenticarsi di un evento estremamente importante, quale quello della morte della sorella di Yasuko. Eppure la conclusione del brano sembra tutto l’opposto di un immagine di morte: tramite quella dimenticanza, Kawabata riesce a introdurre l’immagine presente nella mente del protagonista, che ricorda con estrema nitidezza il colore sfavillante dell’acero nano, collegato con la visione dell’amata. E un ricordo dolce, per Shingo, come dolce è il sapore della memoria nel romanzo.

La decadenza della memoria di Shingo è tale che egli arriva a dimenticarsi perfino la data dell’anniversario della morte della cognata16. Sono tutti segnali molto precisi del suo decadimento fisico ed intellettuale. Di certo, l’evento più importante da questo punto di vista è quando il protagonista, nel capitolo conclusivo del romanzo, finisce per dimenticarsi di come si annoda la cravatta:

Una mattina di ottobre Shingo stava per stringersi la cravatta. A un tratto le mani esitarono e si sentì disorientato.

«Ma…aspetta un minuto…»

Poi fermò le mani e la sua faccia assunse un’espressione preoccupata.

«Come si faceva…?»

Provò ad annodarla dall’inizio, riprovò di nuovo, ma non riusciva ad annodarla.

Tirò entrambe le estremità della cravatta, sollevandole davanti al petto, poi stette a osservarle mentre chinava il capo.

«Che cosa succede?»

Kikuko, che si trovava dietro e un po’ di lato a Shingo, reggeva la giacca preparandosi a vestirlo. Si spostò di fronte a lui.

«Non riesco ad annodarmi la cravatta. Mi sono dimenticato come si fa. Non è strano?»

Shingo, con un gesto goffo delle mani, arrotolò lentamente un lembo della cravatta intorno ad un dito, cercò di farlo passare dal nodo ma fece una strana manovra che terminò in uno gnocco. Doveva essere una situazione divertente a dirsi, ma allorché gli occhi di Shingo furono pieni di profondo terrore e disperazione, Kikuko sembrò spaventarsi.

«Papà», chiamò.

«Come devo fare?»

Shingo stava ritto in piedi, come intontito, senza neppure la forza di provare a ricordarsi come fare.17

L’incisività del brano è rafforzata dal fatto che è collocato all’inizio del capitolo. Il riferimento è ad un momento abituale, una qualsiasi mattina di ottobre: l’evento, eccezionale per le sue implicazioni, contrasta con la convenzionalità del contesto in cui è inserito. Attraverso un uso accurato delle ripetizioni, inoltre, Kawabata enfatizza i movimenti continuati che finiscono per non portare a nulla. Sono sforzi inutili18. Traspare per di più una certa ironia dell’autore, che fa compiere strane manovre alle mani del protagonista prima di fargli comprendere distintamente la completa assurdità della sua situazione. Si tratta infatti dell’apoteosi dell’impotenza di Shingo di fronte alla corruzione rappresentata dal tempo: non ha neppure “la forza di provare a ricordarsi come fare”. I suoi occhi sono “pieni di profondo terrore e disperazione”. Di fronte a Kikuko sembra essere un bambino, che non faccia altro che aspettare l’aiuto della madre, affrontando un evento del quale non possiede il benché minimo controllo.

3.3 La reazione della memoria

Shingo sembra prendere coscienza del suo problema: si tratta della prima fase di quello che Fernandez chiama “l’aspetto tragico”19 del romanzo, ovvero la consapevolezza della sofferenza. In questo senso, Shingo è inscritto nella cultura dalla quale è stato partorito: “la vita è dolore [dukkha]” è infatti la Prima Nobile Verità degli insegnamenti del Buddha20.

Il secondo aspetto della “tragedia” di Shingo è invece l’inevitabilità di quella stessa sofferenza: non c’è via di scampo al passare del tempo e all’approssimarsi della morte o, per meglio dire, la strada della salvezza non è rappresentata dall’opporsi stolidamente ad essi21.

Shingo, infatti, reagisce in un duplice modo di fronte a questa acquistata consapevolezza: dal punto di vista quotidiano, di fronte ai problemi di Kikuko e della sua figlia Fusako, sembra fare ben poco, assumendo un atteggiamento passivo, tanto da giungere ad affermare: “Oggigiorno, fino a che punto i genitori sono responsabili per la vita matrimoniale dei figli?22. Da un punto di vista interiore Shingo inseguirà un suo personale sentiero di evoluzione, adottando una serie di stratagemmi: il primo di questi, attuatosi proprio in risposta all’oblio e al decadimento fisico, è quello del ricordo.

Egli, infatti, desidera ricordare, per non scomparire e perché non si perda ciò che lo contraddistingue. In questo Fernandez è in contrasto con quello che ritiene Seidensticker, il quale sostiene che Shingo, più che desiderare di ricordare, vuole non essere dimenticato23. E’ molto più plausibile che siano entrambi gli aspetti a coinvolgere Shingo: il ricordare-attivo e l’essere ricordato-passivo.

La memoria, perciò, ha questo duplice aspetto: da un punto di vista della mancanza essa è oblio, vita che sfugge, disfacimento fisico. Dall’altro, però è ricordo, vita, realizzazione fisica ed erotica24. E’ rilevante che entrambi gli aspetti siano strettamente collegati: quando c’è un momento duro della vita di Shingo, ecco manifestarsi il ricordo, spesso tramite la strategia narrativa della finestra aperta in un nuovo mondo:

«Allungo le mani per toccare il corpo di mia moglie solo quando la devo far smettere di russare», pensò Shingo. Ebbe una sensazione di pietà senza fine. Prese in mano una rivista vicino al cuscino. Poi, poiché era afoso si alzò e aprì la veranda. Ci si accovacciò sopra.25

A scatenare la reazione di Shingo è qui la presenza fisica, perfino troppo tangibile, della moglie. Dice di degnarsi di toccarla con le sue mani, quasi come se quel corpo vecchio, sintomo e simbolo dello stesso e parallelo disfacimento del corpo di Shingo, non fosse neppure degno di essere sfiorato. Ecco che Shingo prova un improvviso senso di pietà per la figura addormentata e, come reazione, si appoggia alla veranda, dove un mondo di suoni, insetti, sensazioni lo avvolgerà. Altrove può essere il sonno veicolo delle emozioni, sempre per il tramite della finestra che si apre su un nuovo mondo. Shingo, durante la notte passata in un albergo ad Atami, ode il richiamo dell’amata:

Per un po’ non riuscì a prendere sonno.

«Shingo, Shingo», giunse una voce che lo chiamava nel dormiveglia.

Quella voce poteva essere soltanto della sorella di Yasuko.

Si era risvegliato dolcemente, con una sensazione di intorpidimento.

«Shingo, Shingo, Shingo»

Quella voce giungeva da sotto la finestra nel retro della casa, qualcuno lo chiamava nascondendosi là.

Shingo si svegliò sussultando. Il suono dell’acqua nel ruscello dietro la casa era forte. Si sentivano le voci dei bambini.

Shingo si alzò e aprì la finestra sul retro.

Era una mattina luminosa. La luce era calda come se il sole invernale si fosse immerso in una pioggia primaverile.

Nel sentiero aldilà del ruscello erano radunati sette o otto scolari.

Quella voce era stata forse quella dei bambini che si chiamavano tra loro?

Shingo, tuttavia, si sporse dal bordo e cercò con lo sguardo tra i cespugli di bambù su quella sponda del ruscello.”26

Shingo si trova nel dormiveglia, e ode una voce da dietro la finestra. Quella voce, a sua volta, è collegata con il suono dell’acqua e dietro di essa c’è la luce: piena, intensa, calda. La voce è quella della sorella di Yasuko, la luce è quella del sole, ma anche, indirettamente, quella dello splendore della ragazza, ancora collegabile con la rossa luminosità dell’acero bonsai27.

La finestra è chiaramente uno stratagemma per passare da un mondo all’altro: dal mondo quotidiano e presente della sofferenza, a quello senza-tempo del passato. Si tratta di due dimensioni diverse, il cui transito dall’una all’altra è spesso veicolato dalla presenza di un diversivo, oggettuale o sensoriale, sempre simbolico. È il caso della finestra, ma potrebbe benissimo essere la presenza della luna piena in cielo oppure di un suono qualsiasi: il suono della montagna, il rimbombo del mare o del treno. Questo passo precede di poco il brano citato in precedenza, dove Shingo ode la voce dell’amata che lo chiama:

Il rimbombo del mare era il suono del tifone di montagna, e al di sopra di quello un suono stridente di tempesta si avvicinava.

In fondo al rumore di tempesta si udì un suono lontano come di rimbombo.

Era il suono del treno che passava nel tunnel di Tanna. Shingo lo sapeva. Non poteva sbagliarsi. Quando usci dalla galleria, il treno fischiò.28

Ecco che i “dispositivi” utilizzati da Kawabata per introdurre la presenza di un mondo diverso temporalmente e spazialmente separato dal quello del presente, rappresentano la chiave di accesso per il mondo dei ricordi, dove Shingo raggiunge la cessazione della sofferenza, il suo personale percorso di raggiungimento del nirvana29, cioè la realizzazione dell’Ottuplice Sentiero del Buddha.30

Il più importante di questi dispositivi resta comunque Kikuko: “Per Shingo, Kikuko era una finestra che guardava fuori da una situazione famigliare pesante31, ci dice Kawabata . Altrove, fa riferimento alle sue capacità stimolanti per la memoria di Shingo:

Dopo che Kikuko sposò il figlio e venne in casa, la memoria di Shingo era ravvivata da luci che erano come bagliori improvvisi, e ciò non era una cosa morbosa.32

Kikuko rappresenta, in un duplice aspetto, un medium per Shingo: da un lato essa ricorda in tutto e per tutto la sorella di Yasuko: “La snellezza e il colore candido della pelle di Kikuko ricordavano a Shingo la sorella maggiore di Yasuko33. Dall’altro, essa è la finestra che gli permette di guardare verso il mondo. E’ significativo che Shingo desideri Kikuko non quando è fisicamente presente, ma solo quando è trasposta nei suoi sogni o nei ricordi. Infatti la nuora appartiene ad entrambe le dimensioni temporali: dal punto di vista strettamente fisico, fa parte del mondo di Yasuko, Fusako, Satoko, Shūichi e degli altri personaggi caratterizzati da un’impronta estremamente concreta. Dall’altro appartiene al mondo dei sogni, cioè a quello della cognata di Shingo e del suo sposo, e quindi in questo senso al mondo dei morti. Ecco perché la figura di Kikuko è più “eterea” e per questo motivo l’affetto del protagonista per la nuora non raggiunge mai la morbosità.

Il “ricordare”, che verrà fatto con mezzi diversi, rappresenta quindi la suprema strategia di Shingo per non perire di fronte all’oblio. Per il tramite della nuora, che stimola involontariamente e per mezzo di “bagliori improvvisi” la sua capacità di ricordare, il protagonista si troverà proiettato nel mondo dei sogni o del sonno secolare.

  1. La presa di coscienza di Shingo: la morte

Al principio del romanzo, Shingo ode il suono della montagna. Si tratta del richiamo della natura che suggerisce a Shingo di lasciarsi andare, di fondersi con essa. La voce della montagna dice al protagonista di non resistere, come egli sta facendo. Per Shingo è la presa di coscienza del flusso inarrestabile del tempo e dell’avvicinarsi della fine, non solo la sua, ma anche quella degli altri. Spesso i casi di morte nel romanzo, infatti, fungono da specchio: Shingo vede rappresentati, oltre che dei drammi, dei veri e propri casi umani ciascuno con una propria storia. Si tratta quasi sempre di casi di decesso dovuti a malattie o suicidio e non se ne parla mai come eventi iscritti nel naturale ordine delle cose. La fine dell’esistenza è infatti descritta nelle sue valenze tragiche e talvolta ironiche, come nel brano che segue, che è il primo caso in cui si parla di tentata morte. Shingo ripensa all’incontro con una geisha avvenuto dieci giorni prima. Ella progetta il suicidio con il falegname che ha costruito la casa da tè dove il protagonista fa conoscenza con la donna.

[…] quando stava per prendere il cianuro, fu assalita dal dubbio se quella dose sarebbe stata sufficiente a ucciderla.

«E’ senza dubbio la dose letale – disse quella persona – le ho comperate, le dosi non sono forse impacchettate una per una? Sono state preparate scrupolosamente.»

Tuttavia lei non gli credeva. I suoi dubbi non facevano che rafforzarsi.

«Chi te l’ha preparato? Può darsi che le dosi siano state preparate per farci soffrire o per punirti, te e me tua donna. Gli chiesi quale medico o farmacista le avesse preparate, ma lui disse che non me lo poteva dire. Com’è che non poteva dirmelo se stavamo per morire entrambi? Dopo non ci sarebbe stato sicuramente modo perché qualcuno lo sapesse.»

«Una storia divertente», stava per dire Shingo, ma non disse nulla.

La geisha si dilungò dicendo che avrebbero riprovato solo dopo che ella si sarebbe fatta misurare le dosi di veleno da qualcuno.

«Le porto ancora con me!»34

Kawabata descrive nei dettagli il racconto della geisha: si tratta di una piccola cornice narrativa: l’autore scrive ciò che Shingo ricorda che è ciò che la donna a sua volta gli racconta. La conclusione colpisce Shingo, che si chiede se corrisponda a verità ciò che è stato raccontato.

E’ significativo che Shingo non abbia mai pensato né sia mai ricorso al suicidio come mezzo per annullare il corso del tempo o comunque per manifestare l’impossibilità del suo amore per la sorella di Yasuko o per Kikuko35. Se è vero che a Shingo manca il coraggio necessario per affrontare la decisione del suicidio, è anche vero che egli ritiene che la soppressione volontaria della vita non risolverebbe il suo problema. Non farebbe altro, infatti, che affermare in modo ancor più perentorio la propria identità e quindi la propria condizione36. Ne è misura il distacco e l’ironia con il quale guarda all’episodio della geisha.

Colpisce Shingo in modo più viscerale, invece, la morte dell’amico Mizuta. La narrazione delle circostanze del suo decesso scaturiscono da un incontro, inaspettato, tra Shingo e il conoscente Suzumoto. Sembra che il trapasso fosse avvenuto in circostanze eccezionali: durante un amplesso amoroso con una giovane donna, in una casa di piacere.

Mizuta era improvvisamente spirato in una locanda termale. Durante il funerale, i vecchi amici avevano sussurrato ciò che Suzumoto aveva chiamato «morte paradisiaca».37

Si tratta di quella che Shingo definisce “Morte paradisiaca [gokuraku, 極楽]”, dove la scelta di quella parola non è casuale. Anche il protagonista, infatti, vorrebbe “tornare” al paradiso, ovvero sposarsi con la sorella di Yasuko nella cornice del suo paese natale. Mizuta sentiva di stare perdendo la sua virilità e Shingo si sente vicino a lui in quello. Il gesto dell’amico rappresenta perciò uno dei modi supremi per riottenere la propria virile giovinezza, seppure per un tempo limitato. Il ricordo dell’amico gli sovviene bevendo una tazza di tè, che gli è stato mandato dalla famiglia dopo il funerale. In questo senso il tè serve da meccanismo evocatore38 e identificante: Shingo ricorda l’amico grazie al tè e per il suo tramite tra egli e Mizuta si stabilisce un legame.

Shingo avverte la presenza di un legame anche per gli altri amici morti. L’episodio del funerale di Toriyama diventa l’occasione per riflettere sulla sua situazione famigliare:

In casa dell’uomo che, al raccogliersi dei compagni di classe, aveva raccontato la storia di Toriyama, vi erano quattro o cinque vecchie maschere tramandategli dagli antenati. Toriyama era venuto da lui e allorché gliele aveva mostrate, stette a lungo e non voleva andarsene più. Secondo quella persona, non poteva essere che Toriyama restasse così affascinato dal vedere per la prima volta le maschere: probabilmente ammazzava il tempo per non tornare a casa prima che la moglie si fosse addormentata.

Però Shingo pensò in quel momento che un padre di famiglia che ha superato la cinquantina, mentre passa tutte le notti passeggiando, chissà in quali pensieri profondi è immerso.

La foto di Toriyama esposta al funerale doveva essere stata scattata al tempo in cui Toriyama era ancora funzionario statale, il giorno di capodanno o qualche altro giorno festivo. Aveva il vestito completo, la sua faccia era rotonda e aveva un’aria mite. Poteva darsi che il fotografo l’avesse rimaneggiata, non si vedevano ombre.

Il viso mite di Toriyama era troppo giovane in confronto alla moglie davanti alla bara. Dava l’impressione che fosse stato Toriyama a far invecchiare la moglie di sofferenze.

Poiché la moglie era bassa, Shingo vide i capelli bianchi alla radice, gli pareva che una spalla fosse più bassa dell’altra e che lei fosse sciupata.

Il figlio e la figlia con quelli che sembravano i loro coniugi erano allineati accanto alla madre, ma Shingo li guardò di sfuggita.39

Si tratta di un brano dalle numerose allusioni simboliche e dai paralleli con il protagonista. Innanzitutto Toriyama è un reietto: si sente fuori posto all’interno della sua famiglia. E’ costretto, infatti, a passare intere giornate fuori casa e a tornarci solo quando la moglie è già addormentata. Egli, inoltre, non si sente compreso nell’intimo. Sembra particolarmente interessato alle maschere (脳)40: alcune di queste, come quella Jidō(慈童), simboleggiano l’eterno fanciullo: una specie di essere asessuato, dal volto di uomo ma dai tratti di fanciulla. Anche Shingo resta colpito dalle maschere, in particolare da quella che ritrae il fanciullo. Oltre alla sua bellezza, lo colpisce l’idea di giovinezza senza fine che la contraddistingue. Vi è, inoltre, un sottile paradosso scaturito dalle descrizioni della foto di Toriyama, dal volto rotondo, giovanile e mite, e la figura della moglie, anziana e “sciupata”. Sembra infatti dalle foto che sia stata la moglie a soffrire e non viceversa. Dopo il funerale, Shingo si trova ad immaginare come risponderebbe ad una serie di domande sulla sua famiglia e sulla sua realizzazione famigliare: queste sono le sue conclusioni:

«Pensavo di essere giunto in qualche modo fino a qui senza grosse difficoltà, ma adesso le cose stanno precipitando sia nella famiglia di mia figlia che in quella di mio figlio.»41

Grazie ad un duplice meccanismo, Shingo completa qui la sua identificazione con Toriyama. Innanzitutto la moglie dell’amico sembra, paragonata alla foto, più vecchia di lui, come Yasuko è più anziana di Shingo. La moglie di Toriyama, inoltre, possiede, come Yasuko, una grande forza d’animo. Spesso si fa riferimento alla sua salute di ferro e al suo sonno profondo e traspare la sua maggiore forza emotiva. E’ probabile che Shingo pensi che Yasuko possa sopravvivergli, per quanto sia di un anno più anziana.

Nel brano è possibile ammirare la sottile tecnica ad incastri di Kawabata. Gli eventi sono infatti collegati sottilmente uno all’altro, in un modo che spesso sfugge ad una prima lettura. Si ha addirittura l’impressione che Kawabata possa essere apprezzato non sincronicamente, ma solo diacronicamente: un piacere che si può gustare solo dopo varie letture.

Ancora più rilevante, in questo senso, è l’episodio della follia e della morte di Kitamoto, un amico deceduto diversi anni prima il cui ricordo viene rievocato sempre durante la visita di Suzumoto. Kitamoto impazzisce dopo aver sopportato gli orrori della guerra. Nella tragedia mondiale perde tutti e tre i suoi figli. Un giorno si guarda allo specchio e scopre che i suoi capelli stanno diventando bianchi. Comincia a strapparseli uno ad uno, ma non c’è speranza. Egli sembra incanutire sempre di più, minuto per minuto:

«Il giorno prima pensava di esserseli strappati tutti ma il giorno successivo ridiventavano bianchi. Ritengo che arrivò al punto che fossero davvero troppi per poter essere strappati via. Passavano i giorni e aumentava il tempo che Suzumoto passava davanti allo specchio. Se pensavano «perché non si fa vedere?», ecco che era davanti allo specchio a strapparsi i capelli.»42

Finisce per essere ricoverato in un ospedale psichiatrico ed ecco che, quando ormai non gli resta nessun capello sulla testa, cominciano a ricrescergli i primi capelli neri:

«E’ accaduto un miracolo. Sulla testa completamente pelata, sono spuntati svariati ciuffi di capelli neri.»

«Una bella storia», disse Shingo mentre continuava a ridere.

«Guarda che è vero!», replicò l’amico senza ridere, «I matti non hanno età. Se anche noi fossimo pazzi, forse torneremmo ad essere molto più giovani!»43

Il miracolo dell’inversione temporale sembra compiersi, ma sarà di breve durata: dopo poco, infatti, Kitamoto muore.

E’ importante sottolineare che Shingo si ricorderà nuovamente di Kitamoto quando Kikuko gli regalerà un rasoio elettrico. In quell’occasione, infatti, egli vede cadere dei peli bianchi sul suo vestito scuro ed ecco che l’identificazione ha luogo. Shingo riflette con Suzumoto proprio sul fatto che tutti i suoi amici si sono incanutiti o, come Suzumoto stesso, sono diventati calvi44. L’inesorabile legge della natura viene espressa chiaramente da Shingo:

«Non siamo forse dei pezzi di ricambio nella vita umana? Non è crudele che, anche da vivi, i pezzi di ricambio vengano puniti dalla vita stessa?»45

L’eterno divenire non risparmierà nessuno: Suzumoto è diventato semplicemente calvo, ma Kitamoto e gli altri amici di Shingo sono morti.

Se da un lato, tuttavia, Shingo partecipa attivamente alle cerimonie di commiato ai deceduti, manifestando la sua inquietudine, dall’altro se ne sente distaccato. Ciò che veramente sembra lo angusti è il fatto di non avere fatto qualcosa di significativo nella sua vita, e che il tempo ancora disponibile per porvi rimedio sia molto breve. In lui dimora la paura di essere dimenticato per non avere realizzato nulla di grande, e Shingo non desidera spegnersi prima di avere completato qualcosa di significativo. Allora il dolce trapasso si potrà anche compiere, come farà la coppia di anziani morta suicida: si tratta di un episodio che Yasuko legge a Shingo da un quotidiano e riguarda il presidente dell’associazione nazionale canottaggio nonché noto benefattore. Egli decide di suicidarsi con la moglie, e lascia due lettere. Una di queste è per la figlia adottiva e il marito di lei:

«Ci siamo immaginati le nostre figure miserabili, dimenticate dalla società, persone che vegetano solamente, ci sembra meglio non sopravvivere fino a quel momento. Comprendiamo profondamente i sentimenti del visconte Takagi46. Riteniamo che sia meglio scomparire mentre siamo ancora amati da tutti, avvolti nell’affetto degli amici di famiglia, accompagnati dall’amicizia dei molti amici, dei colleghi, dei giovani.»47

La seconda lettera è invece per i nipoti:

«Si avvicina il giorno dell’autonomia del Giappone, ma il futuro è oscuro. I giovani studenti impauriti dagli orrori della guerra, se ambiscono alla pace, dovranno portare avanti fino alla fine la strada della non-violenza di Gandhi. Non abbiamo più la forza di guidare e di proseguire sulla strada che noi riteniamo giusta. Ci sembra inutile continuare a vivere fino a quel momento, come se aspettassimo che sopraggiunga la “Età sgradevole”48. Vogliamo lasciare, almeno ai nipoti, l’impressione di essere stati un buon nonno e una buona nonna. Non sappiamo dove andremo. Solo che dormiremo in pace.»49

Shingo sta raggiungendo la sua “età sgradevole” e qui, indirettamente, Kawabata ci restituisce una delle sue rarissime considerazioni etiche, indicando ai posteri la strada da percorrere. Ciò che ci sembra importante, tuttavia, è quello che i due coniugi desiderano per essi: dormire un sonno sereno, anche se non sanno dove andranno. Esso rappresenta ciò che spesso lo stesso protagonista anela a poter fare.

La tentata identificazione di Shingo con il vecchio e di Yasuko con la di lui moglie è pertinente ed è corroborata dalle stesse affermazioni della donna dopo la lettura:

«Non c’è una lettera della moglie?»

«Eh?»

Yasuko alzò la testa con un’aria sorpresa.

«Non c’era una lettera della moglie?»

«Una lettera della vecchia moglie?»

«E’ chiaro. Visto che sono usciti per uccidersi in due, ci deve essere anche una lettera della moglie. Per esempio, se ci suicidassimo io e te, tu potresti aver qualcosa da dire e allora lasceresti qualcosa di scritto, non credi?»

«Io non ne avrei bisogno.», rispose Yasuko a bruciapelo.

«Si lascia uno scritto sia dell’uomo che della donna quando sono due giovani che si suicidano insieme. Esprimono inoltre la loro delusione di non potersi unire in matrimonio o altro. Se si tratta di una coppia, è in genere sufficiente che sia il marito a scrivere. Io che cosa avrei mai da lasciare scritto?»

«La pensi davvero così?»

«Sarebbe diverso se dovessi morire da sola.»

«Se dovessi morire da sola, ci sarebbero montagne di rancori e rimpianti.»

«Il fatto è che se ci fossero o meno, non importerebbe alla mia età.»50

Questo brano risulta essere interessante perché ci mostra la sottigliezza della narrativa di Kawabata. Yasuko, infatti, non ritiene opportuno dover scrivere una lettera in caso di suicidio di entrambi, a voler dire che in quel caso la morte comune sarebbe una dimostrazione della condivisione degli ideali vissuti e della comunanza della propria esistenza. Tutto sommato, non scriverebbe la lettera neppure in caso che si suicidasse da sola, tanto, vista la sua età, non servirebbe dare sfogo ai suoi numerosi rancori e rimpianti, che evidentemente ci sono.

Si avverte, comunque, che il distacco dalla coppia di coniugi è per Shingo notevole. Egli, al contrario di loro, non ha motivi di fama né di gloria; non è ricco e non è neppure benvoluto da tutti. I due figli sicuramente non lo apprezzano come egli desidererebbe, né sembrano comprenderlo nel profondo. Neppure i nipoti lo gratificheranno: Satoko, la figlia maggiore di Fusako, è infatti un personaggio molto inquietante: strappa le ali di una cicala che gli viene data dalla madre, per evitare che voli via e potersi così divertire di più; altrove viene descritta con uno sguardo inquietante, sadico. Si permette, inoltre, di staccare un rametto del sacro ciliegio di Shingo, dopo che è stato potato lo yatsude (八つ手)51. Fa quasi travolgere da un’auto, inoltre, una coetanea per l’invidia di non possedere un kimono come il suo. Satoko ha purtroppo preso la bruttezza di Fusako e l’altra figlia, Kuniko, è troppo piccola per poter rappresentare una valida speranza per il vecchio. Shingo vede perduta perciò la possibilità di dare vita ad una generazione che, per bellezza e purezza, sia accostabile alla cognata morta.

In questo senso non l’aiuta neppure la giovane nuora. Il bambino abortito da Kikuko avrebbe infatti potuto radunare in sé quelle caratteristiche di perfezione e purezza, ma mai egli sarà in grado di venirne a conoscenza. Neppure il probabile figlio illegittimo di Shūichi sarà mai conosciuto da Shingo: l’amante decide, infatti, di aprire un’attività lontano dalla capitale.

Identificazione, distacco ed ironia sembra siano i mezzi attraverso i quali Shingo prende contatto con la morte degli altri all’interno del romanzo. Si tratta di un meccanismo che lo porta gradualmente da un sentimento di vicinanza ad uno di estraniazione. Il problema, però, lo riguarda sempre più dappresso al punto di non poterlo più ignorare. Attraverso i suoi sogni e le sue fantasie di sonno a lungo termine Shingo sembra poter parzialmente aggirare le sue difficoltà.

3.5 I Sogni

Affiancato all’impellente desiderio di invertire il corso del tempo, vi è per Shingo quello di recuperare la propria forza erotica ristabilendo la sua virilità. I sogni rappresentano questo duplice aspetto del valore della memoria per il protagonista: assieme al recupero del proprio “tempo perduto” Shingo riconquisterà la sua capacità di essere uomo a tutti gli effetti.

Tutte le reminiscenze dei sogni sono attivate da particolari meccanismi evocatori. I primi due sogni, infatti, che vengono vissuti nell’arco di una stessa notte, sono ricordati da Shingo dopo che assiste ad uno spettacolo della natura in giardino. Il volo di tre farfalle ageha (揚羽)52 gli fa ricordare del primo sogno e successivamente del secondo. Nel primo Shingo vede una persona morta: si tratta di Tatsumiya, un falegname fidato al quale Shingo aveva commissionato numerosi lavori: egli è morto tre o quattro anni prima. Nel sogno offre a Shingo un piatto di soba53, e Shingo non si ricorda se lo mangia o meno, ma si ricorda in modo ben definito il particolare del piatto, laccato di nero da una parte e rosso dall’altra. E’ significativo che Shingo ricordi questo particolare e non il viso della ragazza che sogna di toccare subito dopo, forse una delle sei figlie di Tatsumiya. Ciò che colpisce Shingo è che nel sogno Tatsumiya è vivo. Si crea quindi una discrepanza tra la realtà quotidiana, dove il falegname è morto, e l’immagine del sogno, evocata grazie alla capacità creativa della mente di Shingo, la quale inverte il corso naturale del tempo e riporta in vita Tatsumiya.

All’interno dello stesso sogno, Shingo sogna di toccare il corpo di una ragazza. Per quanto in apparenza possa sembrare un sogno erotico, Shingo non ha avuto questa impressione. Se, quindi, l’inversione temporale ha qui luogo, il processo di rigenerazione della virilità è solo al primo stadio.

Subito dopo il primo sogno, Shingo ne fa un secondo e sogna nuovamente una persona morta. Si tratta di Aida, un dirigente della sua ditta morto l’anno precedente. Nel sogno Aida entra in casa con un bicchierino di sake e, dal rossore della sua faccia, Shingo evince che è ubriaco. La cosa strana è che Aida non beveva alcolici, al massimo portava con se qualche bottiglia di sciroppo, essendo malato di asma. E’ infatti morto soffocato dal catarro dopo un’emorragia cerebrale.

I due sogni sembrano non essere accomunati da nessun elemento, se non uno. In entrambi, le persone morte erano vive secondo per secondo nel sogno di Shingo: “All’interno del sogno la figura di Aida, che gli veniva incontro camminando vistosamente come un forte bevitore, fluttuò vividamente nella mente di Shingo54.

Il terzo sogno è introdotto da un pensiero molto significativo per Shingo:

«Sono un uomo vecchio che non ha ancora scalato il monte Fuji», Shingo mormorò tra sé in ufficio.

Erano parole che erano fluite improvvise, ma poiché aveva pensato che fossero piene di significato, continuò a ripeterle tra sé.

La notte precedente aveva sognato le isole Matsushima, forse era per quello che quelle parole gli erano passate in testa.

Shingo pensò che era strano aver sognato le isole Matsushima quella mattina, dal momento che non c’era mai stato.

Si rese conto, allora, che alla sua età non aveva visto ancora due dei tre “Tesori del Giappone” 55, ovvero Matsushima e la laguna di Ama no hashidate.

Gli era capitato soltanto di vedere il tempio di Miyajima, durante una sosta del treno, al ritorno di un viaggio d’affari per la ditta a Kyūshū, alla fine dell’inverno.

Allorché si era fatta mattina, del sogno si ricordava solo dei frammenti: si distinguevano chiaramente il colore del mare e dei pini sulle isole.

Si trattava chiaramente delle isole Matsushima.56

Shingo non ha ancora fatto un’esperienza significativa, nella sua vita: scalare il Monte Fuji (富士山)57. Si tratta di un avvenimento particolare nell’esistenza di un uomo, ancora di più di un giapponese: scalare il Fuji vuole dire entrare in contatto con la montagna divina, quindi anche con la propria spiritualità. Per lo Shintoismo58 le montagne rappresentano un luogo sacro: non solo esse sono più vicine al cielo di qualunque altra cosa, ma sono il luogo dove risiedono i kami (神), le divinità naturali. In cima alle montagne vengono di solito costruiti i monasteri, dove la gente si reca in pellegrinaggio. Salire il Fuji, quindi, significa entrare in contatto con la propria spiritualità, con il “gigantesco risveglio cosmico di cui egli è parte59. La mancata esperienza di Shingo non si ferma qui: egli non ha visitato i tre paesaggi tradizionali del Giappone, e, come tale, non solo non è realizzato come persona ma soprattutto come uomo giapponese. In questo senso il suo personaggio supera simbolicamente la sua collocazione geografica, e ciò dà un duplice effetto: da un lato ne è trascesa anche la dimensione temporale, dall’altro è la stessa opera ad assumere un significato di respiro universale. Ecco il sogno di Shingo:

Shingo abbracciava una donna all’ombra dei pini sul tappeto erboso. Era impaurito e si nascondeva. Sembrava si fossero separati dalla compagnia per restare soli. La donna era estremamente giovane, una ragazza. Non capiva quanti anni avesse lui. Pensò che dal modo in cui correva tra i pini con la ragazza, doveva essere anche lui giovane. Allorché abbracciò la ragazza, non aveva avuto la sensazione che ci fosse una differenza d’età. Si comportava come se fosse stato giovane. Però, non pensava di essere tornato giovane o che si trattasse di un evento lontano. Era come se fosse stato nella condizione di un ventenne pur avendo tutti i suoi sessantadue anni. Qui risiedeva la stranezza del sogno.

Il motoscafo dei compagni si allontanava nel mare. In quella barca, c’era una donna in piedi che agitava incessantemente un fazzoletto. Dopo essersi svegliato, si ricordava distintamente del bianco del colore del fazzoletto sullo sfondo del colore del mare. Shingo era rimasto solo con la donna su quell’isoletta, ma sentiva di non avere la benché minima ansia. Egli pensava soltanto che poteva vedere la barca sul mare, ma dalla barca non potevano scoprire il loro luogo nascosto. Si era svegliato quando stava guardando il fazzoletto bianco.

Dopo che si era alzato la mattina, non capiva più chi fosse la donna. Non aveva né un volto né figura intera. Neppure la sensazione del tatto. Erano chiari soltanto i colori del paesaggio. Però non sapeva perché poteva dire che si trattasse proprio di Matsushima né perché avesse sognato Matsushima.

Non gli era mai capitato di visitare Matsushima, né di fare una traversata in barca verso un’isola deserta.

Shingo pensò di chiedere a qualcuno in famiglia se non fosse per caso segno di esaurimento nervoso fare i sogni a colori, ma finì per perdere l’opportunità. Il fatto di aver sognato di abbracciare una donna gli lasciò una sensazione spiacevole. Eppure, era una condizione ragionevole l’essere giovane pur mantenendo la sua persona di adesso. Lo confortava un po’ quel mistero del tempo nel sogno.60

Shingo si meraviglia del fatto di aver sognato un luogo dove non ha mai messo piede: questo contribuisce a rendere ancora più “surreale” l’atmosfera del sogno. Puntualizza, anzi, che dei tre “tesori del Giappone”, ha visitato solo il tempio di Miyajima, durante una sosta del treno in un viaggio d’affari. A proposito del numerale tre, qui ricompare associato con i luoghi sacri del Giappone. Shingo sogna di abbracciare una giovane donna: si sente tranquillo e non ricorda il volto della ragazza ma, cosa molto importante, ricorda che si trovava in un luogo nascosto, come un “rifugio” dalle insidie del tempo dove poter vivere liberamente l’amore con la giovane donna. Si sente, inoltre, di avere tutti i suoi anni, sessantadue, eppure dal modo di correre percepisce di sentirsi più giovane. Questo rappresenta, come dice Shingo alla fine del sogno, il“mistero del tempo” che lo conforta. Shingo, quindi, inverte in modo significativo, il passare del tempo attraverso varie modalità descritte nel sogno:

  1. Sogna un paesaggio per lui irreale, perché non ha mai visitato seppure esistente.
  2. Sogna di essere “ringiovanito”, pur mantenendo tutti i suoi anni.
  3. Sogna di essere in un luogo “nascosto”, protetto dalle insidie dello scorrere inesorabile del tempo.
  4. Irreale è anche l’esperienza vissuta da Shingo: non gli è mai capitato, infatti, di fare una gita in barca, e per di più in un’isola deserta.
  5. Seppure l’immagine del motoscafo e della ragazza che saluta sono descritti con pochi tratti, l’immagine è vivida, presente ed irreale allo stesso tempo.

Il “dispositivo” evocatore del quarto sogno è stavolta più palese. La notte prima Shingo legge un articolo di giornale, nel quale si parla della inquietante percentuale di gravidanze indesiderate nelle ragazze minorenni. Talvolta le madri morivano a causa di aborti illegali per nascondere la loro gravidanza. Shingo, tuttavia, era stato colpito da un caso nel quale una ragazza, diciassettenne, era stata costretta ad abortire dai genitori perché volevano continuasse a studiare. Il ragazzo di lei diceva che la gravidanza non era stato un evento irresponsabile e che si sarebbero sposati al più presto. Shingo sogna questa storia d’amore tra i due, che poi termina con la separazione. La ragazza ha un aborto, ma Shingo ne salva l’immagine così resa “impura”, rendendola “…per l’eternità una santa vergine61.

Il sogno ha per Shingo l’aspetto di un racconto: egli assiste alla storia d’amore tra i due e la ragazza probabilmente continuerà ad amare il giovane dal quale è stata costretta a separarsi. Eppure, a Shingo, era rimasta la sensazione “di poco naturale, di impuro62. Non ricorda il volto della fanciulla né il nome, e non gli pare, comunque, che la bella fanciulla fosse la trasposizione della sorella di Yasuko. Stavolta, però, Shingo ricorda che d’aspetto fisico era minuta e che portava un kimono. Nel sogno, Shingo ripercorre la storia dei due ma più dal punto di vista sentimentale che condannandoli. Egli si domanda se non indulgesse “nuovamente nel sentimentalismo: erano i ricordi della giovinezza che anche in tarda età scintillavano ad avergli fatto sognare l’amore puro dei due ragazzi?” 63

Ancora una volta, Shingo riesce a riportarsi, seppure in modo più indiretto, alla sua gioventù. Shingo nel sogno si immagina di perdonare la ragazza e quindi sé stesso. Il sogno è collocato all’interno di un momento delicato nella trama del romanzo: la notte precedente Kikuko accoglie a casa Shūichi ubriaco e, in fondo, lo perdona. Shingo, inoltre, si domanda se il suo matrimonio con Yasuko non sia fatto anch’esso di colpe, di peccati che venivano sopportati da entrambi, sprofondando sempre di più in “una palude64. Ecco perché si sente di perdonare non solo sé stesso, ma anche le colpe del figlio che ha messo al mondo, grazie alla giovane del sogno. Con lo stesso sentimento, infatti, Shingo interpreta il gemito di dolore e sofferenza che Shūichi, dopo essere rientrato a casa ubriaco, emette per chiedere soccorso a Kikuko. Il ciclo del tempo in questo sogno, quindi, non solo viene invertito ma anche purificato65.

Il quinto sogno è indotto dagli eventi accaduti in seguito al ritorno di Kikuko dopo l’aborto. La ragazza passa qualche giorno a casa dei suoi, poi decide di rientrare e di portare dei regali per tutta la famiglia. A Shingo va il regalo migliore: un rasoio elettrico. Si tratta, per l’epoca, di una grande innovazione tecnologica. Shingo decide di ricambiare il regalo portando a Kikuko un aspirapolvere. La mattina dopo i suoni dell’aspirapolvere di Kikuko e del rasoio elettrico di Shingo si mescolano tra di loro. In questo sogno Shingo si sente spettatore, anche se stavolta, come succede spesso nei sogni, i ruoli di spettatore e di protagonista si confondono tra loro. Esso è ambientato in America, forse, pensa Shingo, perché il pettine che Kikuko regala a Fusako era americano. Gli stati Americani sono occupati alcuni da inglesi altri da spagnoli. Gli abitanti hanno delle caratteristiche ben diverse tra loro, tra le quali il modo di portare la barba. Shingo non si ricorda se questa differenza risiedesse nel colore o nella forma, tuttavia riusciva a distinguere le dissomiglianze tra le varie razze tramite la barba. In un solo stato viveva un uomo che portava una barba che radunava tutte le caratteristiche delle barbe di tutti gli stati: la barba multicolore di quest’uomo era considerata monumento nazionale e il portatore non poteva né tagliarsela né ordinarsela come credeva. Shingo si sentiva accomunato, nel sogno, alla costernazione ed all’orgoglio di quest’uomo. Egli si immagina di aver fatto questo sogno per il desiderio di avere una barba lunga ed incolta, ora che si rasava tutti i giorni grazie al rasoio elettrico di Kikuko.

La valenza simbolica di questo sogno è legata al doppio uso del rasoio elettrico: se da un lato esso serve per radere la barba, può anche essere utile, se opportunamente regolato, per rasare i peli sul collo delle donne. Shingo legge ad alta voce le istruzioni del rasoio: “C’è scritto «Si può radere facilmente anche la peluria alla base del collo delle signore», disse Shingo e poi guardò il viso di Kikuko66. Il riferimento, qui implicito, è all’erotismo sprigionato dal collo femminile ed alla valenza che ad esso viene attribuita in Giappone67.

Il desiderio di non radersi a lungo, quindi, nasconde in sé la necessità di ricuperare la propria virilità. Nel caso di Shingo, questo si lega al desiderio erotico di scorgere il collo nudo di Kikuko. Appena si risveglia, Shingo pensa di avere avuto un sogno innocente e di raccontarlo ai famigliari ma, in connessione con il sogno successivo, fatto immediatamente dopo, Shingo capisce che non è così. Esso è infatti di gran lunga più morboso. Shingo sogna di tastare i seni spioventi di una donna. I seni non corrispondono ad un corpo, non viene associato loro un viso od una persona. Egli collega la figura alla sorella minore di un amico di Shūichi, ma è un’associazione piuttosto incerta. Sembrano essere i seni di una donna che non ha mai avuto bambini: Shingo ebbe con il dito il segno della sua verginità. Ad un certo punto egli le mormora: “Il fatto è che sei un’atleta68.

Appena svegliatosi, a Shingo vengono in mente le ultime parole di Mori Ōgai prima di morire “Ah, che stupido69. Shingo non si sentiva eccitato o emozionato dopo il sogno, aveva semplicemente un grande senso di desolazione.

L’elemento importante del sogno, tuttavia, è l’associazione della donna il cui seno ha tastato: Shingo pensa di aver sognato proprio Kikuko. Colpito come da una folgorazione, Shingo capisce che la sorella dell’amico di Shūichi è solo una trasposizione, per evitare i sensi di colpa di sognare direttamente Kikuko. Subito dopo Shingo riflette sul fatto che, se avesse potuto rifarsi una vita, avrebbe voluto poter tornare indietro ed amare Kikuko vergine, prima del matrimonio con Shūichi.

Ancora una volta, il desiderio di Shingo è quello di poter invertire il corso del tempo, stavolta realizzando il suo desiderio più grande, cioè poter tornare giovane ed amare Kikuko nella sua purezza, cioè nella sua piena illibatezza. Per ottenere ciò, però, Shingo deve poter ricuperare la sua virilità, ormai in piena decadenza. Nel settimo e penultimo sogno, infatti, egli sogna di essere un giovane ufficiale dell’esercito e di avere la spada tramandata dagli antenati della sua casata nonché ben tre pistole. La sua giovinezza e il fatto di essere un soldato, rimarcato anche dalla presenza massiccia delle armi, restituiscono la piena virilità a Shingo, che si appresta, da uomo nel pieno delle sue forze, a tornare nel mondo dei sogni stavolta con la sua amata:

Mentre ascoltava il respiro di Yasuko, Shingo non riusciva a dormire bene, subito fece un sogno.

Era diventato un giovane ufficiale dell’esercito, portava l’uniforme ed ai fianchi aveva una spada giapponese e tre pistole.

La spada sembrava quella che era stata data a Shūichi quando era partito per il fronte, era la spada tramandata dagli antenati.

Shingo camminava attraverso un sentiero di montagna. Lo accompagnava un tagliaboschi.

«Poiché di notte la strada è pericolosa, non cammino mai alla cieca. E’ più sicuro procedere sul lato destro.», disse il taglialegna.

Shingo si tenne sul lato destro ma, poiché non si sentiva sicuro, accese una lampada tascabile. Quella lampada era piena di diamanti intorno al vetro e faceva una luce più del normale, sfavillando. Mano a mano che si faceva più chiaro, si scorgeva una forma nera davanti agli occhi che ostruiva la strada. Sembravano due o tre tronchi di grossi alberi uno sopra l’altro. Ma guardando meglio, si vide che era uno stormo di zanzare. Si ammassavano prendendo la forma di un grosso albero. Shingo pensò a cosa dovesse fare. Doveva farsi strada. Shingo brandì la spada e tagliò ripetutamente l’ammasso di zanzare.

Quando si voltò d’un tratto, vide il taglialegna che correva a rotta di collo. Delle fiamme uscirono da vari punti dell’uniforme di Shingo. Il fatto curioso era che c’erano due Shingo, uno fissava quel Shingo al quale uscivano le fiamme dall’uniforme. Le fiamme uscivano lungo i risvolti delle maniche, dalle cuciture sulle spalle e dalle estremità e poi si spegnevano. Non bruciavano, ma avevano l’aspetto delle sottili fiamme del carbone acceso e crepitavano.

Shingo in un qualche modo era giunto a casa sua. Sembrava la casa del suo paese natio a Shinshū, quando era bambino. C’era pure la bella sorella di Yasuko. Si sentiva stanco, ma non aveva per niente prurito dalle punture delle zanzare. Dopo poco arrivò finalmente a casa di Shingo anche il taglialegna che era scappato via. Appena arrivato, perse i sensi e cadde.

Dal corpo del taglialegna fu tolto un grosso secchio pieno di zanzare.

Shingo non capiva come avessero fatto a toglierle, ma vide chiaramente le zanzare ammucchiate nel secchio, poi si svegliò.

«Sono forse entrate delle zanzare dalla zanzariera?», fece per tendere l’orecchio, ma la testa era pesante e intorpidita.

Stava piovendo.70

E’ significativo che Shingo, dopo aver sconfitto lo stormo di zanzare, ritorni alla sua casa natia nello Shinshū. Ad aspettarlo non c’è Kikuko, ma la sorella di Yasuko, la sua antica amata.

Il dispositivo evocatore del sogno è stavolta più complesso, ed è messo in moto da due elementi principali. In primo luogo Shingo torna a Kamakura dopo avere passato una serata con una prostituta. Lei si addormenta e Shingo la osserva dormire, con il suo viso appoggiato su di lui. In quel momento, Shingo pensa al fatto che la ragazza è persino più giovane di Kikuko. Il desiderio di Shingo, è quello di poter avere Kikuko tra le sue braccia. Lo si capisce perché, al ritorno a casa, evita accuratamente lo sguardo della nuora, quasi come se si sentisse colpevole di qualcosa. Shingo nota anche qualcosa di nuovo in Kikuko, si è tagliata i capelli corti e ha cambiato pettinatura. In secondo luogo, Shingo non riesce a prendere sonno perché sente il respiro forte di Yasuko. Questa doppia reazione, da un lato nei confronti della situazione con la prostituta, dall’altro per la vecchiaia della moglie, come era già accaduto nel primo capitolo, suscita nel vecchio l’esperienza particolare del sogno. Shingo non solo regredisce alla gioventù, per poter abbracciare/dormire con la prostituta/Kikuko ripristinando la sua virilità, ma anche per tornare a quell’età nel quale i corpi non sono ancora corrotti dalla vecchiaia.

L’ottavo e ultimo sogno spinge ancora più in là le capacità rigenerative ed evocative della mente di Shingo. Yasuko e il marito stanno parlando del fatto che esiste la possibilità che Kikuko sia incinta di nuovo. I pensieri di Shingo cominciano a fervere: si immagina due nipoti, uno nato da Kikuko e l’altro, che non potrà mai conoscere, nato da Kinuko. Vorrebbe poter evitare, in un qualche modo, la nascita del figlio dell’amante di Shūichi. Questi pensieri, uniti all’incapacità di dormire dovuta al canto degli insetti, i quali evocano la sensazione di dormire dentro la “terra buia e umida71, portano Shingo a sognare nuovamente. Si trova in un deserto, circondato da sola sabbia. Davanti a sé solo due uova, una enorme di struzzo, l’altra piccolina di serpente. Quest’ultima ha il guscio appena screpolato ed una testa di serpente esce fuori agitandosi. Shingo avverte un profondo affetto per il piccolo. Il vecchio, pur realizzando che le due uova rappresentino Kikuko e Kinuko, non riesce ad attribuire un uovo all’una e uno all’altra. Da un’analisi attenta del testo, tuttavia, possiamo attribuire l’uovo grande a Kinuko. Quando Shingo la va ad incontrare a casa sua, infatti, Kinuko viene descritta come robusta e dalla voce roca. L’uovo piccolo è attribuito, invece, a Kikuko per due motivi. Il primo è il riferimento all’affetto con il quale Shingo accoglierebbe un bambino di Kikuko: “Se Kikuko mettesse al mondo un nipote, gli vorresti bene anche tu, vero?72, gli chiede Yasuko poco prima del sogno. Il secondo è il riferimento al “generale verde73, il serpente che vive sotto la camera della cameriera nella casa di Shingo. Quell’animale viene ritenuto da Kikuko e da Shingo “Il padrone di casa74. Kikuko, inoltre, resta spaventata la prima volta che vede il serpente strisciare. C’è un riferimento, poi, alle sue dimensioni: è lungo il doppio della lunghezza della porta di servizio, cioè circa due metri75, e più grosso del polso di Kikuko76. Quel serpente starebbe a simbolizzare, secondo Tsuruta Kinya, il segreto desiderio di Shingo di avere un figlio con Kikuko77.

L’ottavo sogno, quindi, chiude il cerchio dell’inversione temporale. Il protagonista non solo ricupera la propria virilità e con essa la sua giovinezza, ma si trova anche nel paese dei sogni ad amare Kikuko, la quale darà alla luce un suo figlio. Così Shingo, nelle sue fantasie, sconfiggerà anche la sua paura di restare senza una discendenza.

  1. Il sonno secolare

I sogni rappresentano per Shingo un modo per affermare la propria virilità e la propria realizzazione personale, invertendo il corso del tempo. Essi, però, non costituiscono l’unico diversivo per poterlo fare, né il più potente. Vi sono, infatti, una serie di brani dove il protagonista sembra cercare volontariamente un sonno molto più lungo nella quantità e più significativo nella qualità. In quei passi traspare il suo desiderio di “congelare” la propria esistenza, in attesa che eventi risolutori lo “risveglino” in una situazione di benessere e di felicità, riportando tra l’altro la sua virilità agli splendori della giovinezza. Come per i sogni, questi episodi sono evocati da una serie di eventi che spesso hanno a che vedere con la figura di Kikuko o con i problemi personali del vecchio.

Shingo, di ritorno dall’ufficio, passeggia osservando i girasoli delle case vicine alla sua. Incontra una bambina alla quale chiede per quanto tempo fiorisce il girasole. La bambina non sa rispondergli e, mentre osserva la testa del girasole, Shingo si sente chiamare da Kikuko. Le dice che il fiore più grande gli ricorda “la testa di un grande uomo78. In effetti, Shingo resta impressionato dalla grandezza della corona. Il suo volume gli rammenta un cervello umano e percepisce una grande forza virile all’interno del disco. Il giallo dei petali che circondano il disco centrale, però, gli comunica un’aria femminile. Subito dopo Shingo esprime a Kikuko il suo profondo desiderio:

«Ho la testa molto svagata negli ultimi tempi e sembra che vedendo i girasoli mi venga da pensare alle teste. Vorrei che la mia testa diventasse pulita come quella di quei fiori. Tempo fa, mentre mi trovavo sul treno, pensavo se fosse solo possibile mandare la testa a lavare e riparare. Si taglia la testa dal collo, beh, sarebbe un po’ violento, diciamo soltanto staccarla dal tronco, la si lascia in deposito presso una clinica universitaria, , dicendo “Sì, vi chiedo questo” come se si trattasse di una lavanderia. Mentre lavano e riparano il cervello in clinica, il tronco dorme profondamente per tre giorni o anche una settimana. Non si agita nel sonno né fa sogni.»79

Il desiderio di Shingo è quello di poter fermare le proprie preoccupazioni, lavandole via, ma soprattutto dormendo di un sonno profondo e ristoratore, senza nessun tipo di sogno. E’ significativo che questo tipo di desiderio sia evocato da due elementi principali: la vista di Kikuko, che ha risvegliato in lui la virilità, proiettata qui sui girasoli. Si tratta, in toni molto delicati, dell’estrinsecazione del desiderio di Shingo nei suoi confronti. Egli si immagina, inoltre, di poter essere un grande uomo, ma lo è solo nella sua mente, un “eroe dilettante80, come lo definisce Lippit. La virilità è qui legata al tempo in cui dura la fioritura del girasole: Shingo lo chiede alla bambina, la quale non fornisce alcuna risposta, ma si evince che non sarà un tempo duraturo81. Il secondo elemento nasce dal paragone della corona del girasole con il cervello, in definitiva il suo cervello, che viene lavato e purificato per tre giorni. Attraverso una fitta rete di allusioni e simboli, Kawabata accosta la natura all’uomo, e attraverso di essa, ci parla simbolicamente di quest’ultimo.

Nell’episodio successivo, è la stessa natura, stimolata dalla tecnologia, a produrre risultati strabilianti. Il meccanismo evocatore è qui duplice: Shingo ha appena consigliato a Kikuko di andare in camera da letto a riposarsi, dopo l’intervento per abortire. Tornato a casa, inoltre, il vecchio si scontra con l’altro problema famigliare: la figlia è uscita per spedire una lettera al marito. Qui il desiderio di poter fare qualcosa per Kikuko e per la figlia contrasta con la sua incapacità, come uomo e come padre, di risolvere la situazione. A ciò si unisce la delusione per l’erede perduto, quello stesso erede che sogna di poter mettere al mondo con la nuora. Il protagonista legge un articolo di giornale intitolato “il loto di duemila anni prima che fiorisce82:

«La primavera dell’anno precedente, erano stati scoperti tre semi di loto dentro una piroga nelle rovine dell’antica epoca Yayoi a Kemigawa nella prefettura di Chiba.

Erano state giudicate vecchie di duemila anni. Nell’aprile di quell’anno, un certo “dottore del loto” era riuscito a farle germinare, piantandole in tre posti diversi: la stazione agricola sperimentale di Chiba, lo stagno del Parco di Chiba e la casa di un fabbricante di sake a Hatake-machi, sempre a Chiba. Sembra che questo fabbricante avesse collaborato agli scavi delle rovine. Lo piantò dentro un calderone con l’acqua, lasciandolo in giardino e il suo seme fu il primo a fiorire. Il Dottor loto alla notizia si precipitò e accarezzò il bel fiore esclamando «E’ fiorito! E’ fiorito!». Il fiore passò dalla “Forma di un vaso”, alla “Forma di una tazza da te”, poi alla “Forma di una scodella”, per finire per perdere i petali quando raggiunse la “Forma di un vassoio”», riportava il giornale. C’era scritto anche il numero dei petali, ventiquattro.

Sotto all’articolo c’era anche una fotografia che ritraeva lo scienziato occhialuto, dai capelli per metà bianchi, che reggeva in mano lo stelo del loto fiorito. Rileggendo l’articolo, vide che lo scienziato aveva sessantanove anni. Dopo che ebbe fissato per un po’ la fotografia del fiore di loto, Shingo andò a portare il giornale in camera di Kikuko.83

Il brano è abbastanza chiaro e potrebbe parlare da solo. Sono in effetti due gli elementi significativi, secondo Tsuruta Kinya84. Innanzitutto l’aspetto del “Dottor loto”: ci viene detto che possiede sessantanove anni e che ha i capelli per metà bianchi. Shingo, quindi, si identifica con lo scienziato. Subito dopo aver letto l’articolo, inoltre, il protagonista porta il giornale in camera di Kikuko. Questo gesto starebbe a significare il recondito desiderio di Shingo di poter “fiorire” anch’egli, seppure sia praticamente impossibile. Risulta importante il fatto che Shingo voglia fiorire fisicamente con Kikuko, dopo che lei stessa ha visti tolti i “semi” da lei in seguito all’aborto.

Il desiderio del protagonista è intensificato quando Shingo, tempo dopo, legge altri due articoli relativi ai fiori di loto. Non si tratta di un caso se a porgergli i giornali è proprio Kikuko e esattamente la mattina dopo il sogno delle due uova. Essi riportano due differenti esperimenti, condotti l’uno dallo stesso “Dottor loto” e l’altro negli Stati Uniti, nel Parco Nazionale di Washington. Nel primo articolo si parla nuovamente del “Dottor loto”, il quale piantò due semi, ottenuti dalla divisione di un rizoma, nello stagno di Sanshirō85, a Tōkyō. Nell’altro articolo si parla di alcuni semi, rinvenuti in uno strato di torba in Manciuria, che ripuliti e conservati sotto vetro, hanno dato vita a due splendidi boccioli rosa dopo essere stati trapiantati nel parco. La direzione del Parco dichiara ufficialmente che i semi risalgono da mille a cinquantamila anni prima. Shingo commenta così questa notizia:

«Avevo pensato così anche quando l’avevo letto in precedenza: se dice che i semi hanno davvero da mille anni a cinquantamila anni, si tratta davvero di un calcolo grossolano!»

Shingo proseguì la lettura ridendo.86

L’approssimazione, in effetti, è molto forte e sembra non convincere completamente Shingo circa l’accuratezza delle tecniche di datazione. Ciò che è interessante, tuttavia, è notare il suo dialogo con Kikuko, subito dopo che legge l’articolo:

«Fossero mille o cinquantamila anni, la vita dei semi di loto è lunga. Paragonata con la durata della vita di un uomo, i semi delle piante hanno una vita praticamente eterna.», disse Shingo mentre guardava Kikuko.

«Potessimo anche noi, sepolti per mille o duemila anni, riposarci sottoterra senza morire!»

«Essere sepolti dentro la terra!?» Disse bisbigliando Kikuko.

«Non in una tomba e senza morire, solo riposare. Se fosse davvero possibile riposare sepolti sotto terra! Quando ci si risveglia sono passati cinquantamila anni e ci si ritrova con le proprie difficoltà e con i problemi sociali già completamente risolti, e il mondo è diventato probabilmente un paradiso.»87

Se prima il desiderio di Shingo era quello di poter dormire solo per qualche giorno in un sonno nel quale egli sembra più identificarsi con il suo tronco, privo di sogni e completamente staccato dalla testa, adesso è la sua intera persona ad essere coinvolta in un sonno secolare. Si tratta dello stesso sonno nel quale hanno dormito i germogli del fiore di loto prima di essere risvegliati dall’uomo, un torpore privo di sogni e soprattutto, vista la sua lunga durata, non solo ristoratore a livello fisico, ma persino risolutore. Infatti Shingo troverebbe i suoi problemi personali e quelli sociali88 completamente risolti. Qui il protagonista accenna alle sue questioni famigliari, in primo luogo con la figlia, in secondo luogo con il figlio, che tradisce la sua giovane moglie. Shingo si riferisce anche alle difficoltà dettategli dalla sua salute precaria, alle questioni con la moglie, alla sua memoria in continuo disfacimento. Il premio finale, dopo un così lungo dormire, è rappresentato dall’ingresso nel paradiso, il quale potrebbe essere rappresentato da una nuova e immaginaria vita accanto alla sorella di Yasuko perduta in gioventù. Potrebbe, tuttavia, essere anche una nuova vita con Kikuko che, riportata ad uno stato di totale verginità, potrebbe concepire un figlio con lui89.

In ogni caso Shingo deve ancora attendere prima di poter entrare nel regno dei cieli. Il luogo della serenità è ancora lontano. Egli deve prima accettare il passare inesorabile del tempo, i propri errori nei confronti dei figli e delle loro famiglie nonché l’approssimarsi della morte. Il regno della pace, insomma, passa attraverso la risoluzione dei suoi problemi e la purificazione del suo stato. Bisogna leggere in questo senso il brano che segue, che rappresenta il desiderio di Shingo di invertire il flusso del tempo e compensare i propri rimorsi rimettendo a posto le cose. E’ ancora la figura di Kikuko a sovrapporsi al brano. Infatti, dopo averne ammirato le belle curve del collo e il suo profumo verginale, Shingo ascolta Yasuko che legge un’altro articolo di giornale:

«Ancora uno soltanto…» Yasuko aveva chiamato Shingo.

«Qui c’è una notizia interessante!»

«Oh»

«Si parla degli Stati Uniti. Un posto chiamato Buffalo, nello stato di New York. Buffalo…. Un uomo a causa di un incidente stradale, ha perso l’orecchio sinistro e si reca da un medico. Il medico si precipita nel luogo dell’incidente, trova l’orecchio insanguinato, lo prende, ritorna alla clinica e lo riattacca alla ferita. E da quel momento tutto ha funzionato bene!»

«Si dice che perfino le dita, si riattaccano bene se lo si fa subito appena perse.»

«Davvero?»

Yasuko per un po’ riprese a leggere gli altri articoli, poi riprese come se si ricordasse qualcosa:

«E’ così anche tra moglie e marito: se non è passato molto tempo dalla separazione, può ancora ristabilirsi l’armonia. Ma dopo la separazione, è passato troppo tempo!»90

Come ben commentano le parole di Yasuko, stavolta il tempo passato è eccessivo ed è impossibile ristabilire il legame tra moglie e marito, ovvero tra Fusako ed Aihara. I rimorsi sembrano qui colpire più Yasuko che Shingo, la quale, nel caso Fusako non trovasse un nuovo marito a causa della sua bruttezza, dovrebbe vivere a casa dei suoi e la nonna sarebbe responsabile della crescita delle bambine. Ella si sente troppo vecchia per un compito del genere. Il commento di Shingo è significativo “Fare tutto ciò che è umanamente possibile, e lasciare il resto al cielo91. Il vecchio finisce per dire alla moglie ciò che egli pensa valga per sé: il cielo pensa al resto, ma è implicito che bisogni prima fare tutto ciò che è possibile e Shingo non dà l’impressione di averlo ancora fatto.

L’idea di lasciare tutto nelle mani del cielo è collegata al principio che è si è guadagnata una posizione solo se la si è raggiunta dopo sudori e fatiche. All’interno del romanzo, si parla in varie occasioni della conquista del paradiso. Se ne è accennato per la prima volta nell’episodio di Mizuta, l’amico di Shingo morto in “modo paradisiaco”. Shingo non pensa a quel modo per raggiungere il “suo” paradiso, ma a qualcosa assimilabile con la presenza della montagna. Infatti, è il monte Fuji la trasfigurazione del cielo. Spesso, Shingo parla del fatto che non ha mai scalato il monte sacro che è strettamente connesso con la montagnola dietro la casa di Shingo, dalla quale proviene il suono al principio del romanzo. Essa è simbolicamente legata non solo al richiamo della natura, ma anche a quello della sacralità. Shingo non è pronto per il paradiso anche perché non ha mai affrontato, aldilà della sua immaginazione, il cuore della sua esistenza, il problema dell’inesorabile passare del tempo e della sua decadenza fisica e mentale.

L’influenza Buddista su Kawabata è qui evidente: il primo passo dell’uomo è quello di riconoscere la verità della vita, cioè che essa è dolore, dovuto all’attaccamento alle passioni, ai ricordi, al nostro corpo. Shingo si attacca con forza a tutte e tre queste cose, specialmente ai ricordi, visto che il suo corpo e le sue passioni finiscono per essere ormai irrimediabilmente perdute.

La natura, dal suo canto, sembra indicare a Shingo qual è la strada da percorrere. Il suo linguaggio non è forse così chiaro come quello delle parole, ma è inequivocabile, un richiamo preciso al quale Shingo, alla fine del romanzo, sembrerà volersi affidare.

In realtà qui si valuta lo spessore tra i desideri di Shingo, vissuti ed elaborati in un’atmosfera da sogno, quindi appartenenti di fatto ad altro mondo, e la tangibile verità della vita. Ne è misura questo brano:

«Papà», chiamò stavolta Kikuko.

«Grazie alla storia dell’orecchio della mamma, mi è venuta in mente una cosa: papà, ti ricordi che una volta dicevi che avresti voluto staccare la testa dal corpo, lasciarla in ospedale in modo da farla lavare e riparare?»

«Sì, sì, era quando abbiamo visto il fiore di girasole dei vicini. Sembra una cosa sempre di più necessaria. Mi dimentico come si annoda la cravatta, tra poco leggerò il giornale capovolto, con noncuranza, senza rendermene conto.»

«Anch’io ci penso spesso, provo a pensare a come sarebbe lasciare la testa in ospedale.»

Shingo guardò Kikuko.

«Ecco, sarebbe come lasciare la testa nell’ospedale tutte le notti per una cura di sonno. Anche se, a causa della mia età, sogno spesso. Mi è capitato di leggere una poesia che diceva «Quando sono triste, faccio sogni che sono la continuazione della realtà». Ma i miei sogni non sono la continuazione della realtà.»92

Lo afferma lo stesso Shingo: i suoi sogni non sono la continuazione della realtà. Se il suo percorso evolutivo può essere suggerito dai ricordi e dai sogni, dagli eventi felici e nefasti che lo colpiscono, dalle sue fantasie, l’accesso al paradiso dovrà essere guadagnato percorrendo fisicamente la strada indicatagli dalla natura. E’ un percorso che Shingo non ha ancora intrapreso sul serio.

1 Kawabata stesso amava i viaggi. Passava gran parte del tempo in hotel e pensioni. Keene lo definisce “viaggiatore perpetuo”, KEENE, cit., p. 839.

2 TSURUTA Kinya, The Twilight Years, East and West: Hemingway’s The Old Man and the Sea and Kawabata’s The Sound of the Mountain, in UEDA Makoto (edited by), Explorations, Lanham (MD), University Press of America, 1986, p. 89.

3 Si tratta di un altro nome dell’antica provincia di Shinano che corrisponde, oggigiorno, alla prefettura di Nagano, nella parte centrale dell’isola di Honshū e celebre per le sue catene montuose.

4 KYZ, vol. 12, pp. 243-244. Cfr. SEID p. 4 , SUGA p. 5 e SUGA 2 p. 439.

5 Ozure è la piaga causata dal laccio degli zoccoli.

6 KYZ, vol. 12, p. 245. Cfr. SEID p. 5, SUGA pp. 6-7 e SUGA 2 pp. 440-441.

7 Kanshō (感傷), una parola a cui Kawabata talvolta ricorre per indicare lo stato d’animo di Shingo.

8 Shingo e Kikuko sembrano legati anche in questo: nella loro comune visione delle esperienze quotidiane.

9 Kawabata usa in giapponese il termine bi (美) o l’equivalente utsukushisa (美しさ) per esprimere l’idea della bellezza. L’aggettivo corrispondente, spesso usato, è utsukushii (美しい).

10 Si tratta di quello che Joyce definirebbe “epifania”, una manifestazione delle qualità intrinseche, della sostanza di un oggetto o di una persona, quella che San Tommaso chiama la quidditas. Si veda DEBENEDETTI, cit., p. 290.

11 KYZ, vol. 12, p. 260. Cfr. SEID p. 20, SUGA pp. 21-22 e SUGA 2 p. 456.

12Marlene Annette PILARCIK, The Paradox of Time in Yasunari Kawabata’s “Meijin” and Hermann Hesse’s “Das Glasperlenspiel”, (State University of New York at Binghamton, Ph.d. Thesis, 1981), Ann Arbor, University Microfilms International, 1983.

13Quando Kikuko era venuta a vivere con loro dopo sposata, Shingo notò un non so che di bello nel suo modo di muovere le spalle”, KYZ, vol. 12, p. 256. Cfr. SEID p. 16, SUGA p. 18 e SUGA 2 p. 452.

14 風呂敷furoshiki è un fazzoletto che in Giappone si usa per avvolgere oggetti di vario tipo.

15 KYZ, vol. 12, pp. 287-288. Cfr. SEID pp. 46-47, SUGA p. 47 e SUGA 2 p. 481.

16 Ibid., pp. 288-289. Cfr. SEID p. 48, SUGA p. 48 e SUGA 2 p. 482.

17 Ibid., pp. 519-520. Cfr. SEID pp. 256-257, SUGA p. 267 e SUGA 2 p. 695.

18 Sulla futilità degli sforzi dei protagonisti dei romanzi di Kawabata, si veda Noriko LIPPIT, Kawabata’s Dilettante Heroes in Reality and Fiction in Modern Japanese Literature, London, The Macmillan Press, 1980, pp. 120-145.

19 Jaime FERNANDEZ, El Concepto de lo “Trágico” en “El clamor de la Montaña”, in AA.VV., Studies in Japanese Culture I, Tōkyō, The Japan P.E.N. Club, 1973, p. 246.

20E questa, o monaci, è la Santa Verità circa il dolore: la nascita è dolore, la vecchiaia è dolore, la malattia è dolore, la morte è dolore; l’unione con quel che dispiace è dolore, la separazione da ciò che piace è dolore, il non ottenere ciò che si desidera è dolore, dolore in una parola sono i cinque elementi dell’esistenza individuale”, citazione dal Canone Buddista in Oscar BOTTO, Buddha e il Buddhismo, Milano, Mondadori, 1984, pp. 57-58.

21 Fernandez sostiene che l’atteggiamento di aperta ribellione è tipica dell’uomo occidentale, mentre l’accettazione passiva rappresenta l’atteggiamento dell’uomo orientale. In questo senso Shingo sembra un po’ assumere entrambi gli atteggiamenti, come si vedrà più avanti. Non ci è dato sapere se davvero, alla fine del romanzo, si lascerà andare al corso della natura. Si veda FERNANDEZ, El Concepto de lo “Trágico” en “El clamor de la Montaña”, cit., p. 247.

22 KYZ, vol. 12, p. 314. Cfr. SEID p. 70, SUGA p. 71 e SUGA 2 p. 505.

23 FERNANDEZ, El Concepto de lo “Trágico” en “El clamor de la Montaña”, cit., p. 248.

24 Sulle fantasie e la realizzazione erotica di Shingo, si veda il sottocapitolo sui sogni.

25 KYZ, vol. 12, p. 247. Cfr. SEID p. 7, SUGA p. 8 e SUGA 2 p. 442.

26 Ibid., pp. 357-358. Cfr. SEID p. 108, SUGA pp. 111-112 e SUGA 2 pp. 542-543.

27 Si veda brano p. 41.

28 KYZ, vol. 12, p. 357. Cfr. SEID p. 107, SUGA pp. 110-111 e SUGA 2 pp. 541-542.

29 Nirvana: nella dottrina Buddista, indica lo stato della cessazione della catena che porta allo scaturire del desiderio [tanha], quindi della sofferenza [dukkha].

30 La Quarta Nobile Verità, ovvero la via che conduce alla rimozione della sofferenza [Dukkhanirodhagāminī paţipadā], viene altrimenti detta il Nobile Ottuplice Sentiero, perché strutturato in otto differenti attività pratiche. Si Veda BOTTO, cit., p. 84. Pare interessante che i sogni di Shingo ammontino proprio a otto, quasi come se il sentiero personale di Shingo fosse assimilabile ad un percorso di tipo buddhista.

31 KYZ, vol. 12, p. 277. Cfr. SEID p. 37, SUGA p. 38 e SUGA 2 p. 472.

32 Ibid., p. 257. Cfr. SEID p. 17, SUGA p. 19 e SUGA 2 p. 453.

33 Ibid., p. 256. Cfr. SEID p. 16, SUGA p. 18 e SUGA 2 p. 452.

34 Ibid., pp. 249-250. Cfr. SEID p. 9, SUGA p. 11 e SUGA 2 p. 445.

35 I due meccanismi, nel caso di Shingo, scorrono paralleli: Shingo coltiverà il suo amore e si opporrà al flusso del tempo con lo stesso stratagemma: il ricordo.

36 Per quanto vi sia ricorso, anche Kawabata deplorava il gesto del suicidio. In Il Giappone, la bellezza ed io [Utsukushii Nihon no watakushi] Kawabata cita il suo saggio Con gli occhi della fine [Matsugo no me] e dice: “Per quanto si possa essere disinteressati e distaccati, il suicidio (segue nota) non è una forma di illuminazione. Per quanto siano alte le sue vette di virtuosità, il suicida è lontano dai livelli di un grande saggio”, KYZ, vol. 28, p. 350. Cfr. la traduzione in italiano di Ornella Civardi in KAWABATA Yasunari, Il Giappone, la bellezza e io in Racconti in un palmo di mano, cit., pp. 48-49 e la traduzione di Maria Teresa Orsi in Romanzi e racconti, cit., p. 1243.

37 KYZ, vol. 12, p. 327. Cfr. SEID p. 82, SUGA p. 83 e SUGA 2 p. 515.

38 Il riferimento a La ricerca del tempo perduto di Proust è qui d’obbligo: a Marcel riaffiorano i ricordi, quello che egli chiama le “intermittenze del cuore”, dopo aver affondato un pezzo di madeleine in una tazza di tè. Starrs propone un parallelo tra i due romanzi, si veda STARRS, Soundings in Time – The Fictive Art of Kawabata Yasunari, cit., pp. 154-191.

39 KYZ, vol. 12, p. 313. Cfr. SEID p. 69, SUGA pp. 70-71 e SUGA 2 pp. 503-504.

40 Si tratta delle maschere utilizzate nell’omonimo teatro tradizionale giapponese, portato al suo splendore da Zeami Motokiyo (世阿弥元清, 1363-1443), l’attore che più di tutti ha contribuito alla definizione della identità formale, delle tecniche, della drammaturgia e della concezione estetica di questo teatro. I personaggi (interpretati rigorosamente da soli uomini) erano impersonati indossando quelle speciali maschere, che ne riproducevano i tratti salienti.

41 KYZ, Vol. 12, p. 314. Cfr. SEID p. 70, SUGA p. 71 e SUGA 2 p. 504.

42 Ibid., pp. 359-360. Cfr. SEID p. 110, SUGA p. 114 e SUGA 2 pp. 544-545.

43 Ibid., p. 361. Cfr. SEID p. 111, SUGA p. 115 e SUGA 2 p. 546.

44 Nell’episodio di Kitamoto, così come in altri brani, si scorge anche una certa ironia di Kawabata. Gessel sostiene che l’esigenza di una “barriera emozionale” nei confronti del narrato scaturisce nell’autore da quella “disposizione all’essere orfano” che gli viene dalla sua infanzia travagliata. Si veda GESSEL, cit., pp. 133-135.

45 KYZ, vol. 12, p. 390-391. Cfr. SEID p. 138, SUGA p. 143 e SUGA 2 p. 574.

46 Si trattava del suocero del fratello minore dell’imperatore Hirohito. Si pensa che la sua morte, nel 1948, sia stata suicida.

47 KYZ, vol. 12, p. 397. Cfr. SEID p. 143, SUGA p. 149 e SUGA 2 p. 580.

48 Yagarase no nenrei (1947), riferimento ad un’opera di Niwa Fumio (丹羽文雄, 1904-). Vengono descritti i problemi della età senile, attraverso gli sforzi e le perplessità di una donna che deve avere a che fare con la nonna ottantaseienne, voracissima, cleptomane e dall’aspetto sciatto.

49 KYZ, vol. 12, p. 397. Cfr. SEID pp. 143-144, SUGA p. 149 e SUGA 2 p. 580.

50 Ibid., pp. 397-398. Cfr. SEID p. 144, SUGA pp. 149-150 e SUGA 2 pp. 580-581.

51 Un arbusto variegato sempreverde, che può raggiungere anche i quattro metri di altezza. Nome scientifico: fatsia japonica.

52 Genere di farfalle molto diffuse, della specie Papilionidae. Hanno la coda a forchetta.

53 蕎麦, spaghetti di grano saraceno.

54 KYZ, vol. 12, p. 273. Cfr. SEID p. 33, SUGA p. 34 e SUGA 2 p. 468. Nello Shintoismo, gli spiriti degli antenati sono in vita e visitano i vivi, oltre che nei templi, anche nei sogni. Si veda Bettina L. KNAPP, Life/Death: A Journey (Yasunari Kawabata), in Porter LAUREL – Laurence M. LAUREL (edited by), Aging in Literature, Troy (MI), International Book Publishers, 1984, p. 127.

55 Matsushima, Amanohashidate e Miyajima sono detti “i tre paesaggi del Giappone” [日本三景] perché ritenute le tre località con la più bella veduta paesaggistica: Matsushima [松島] è un gruppo di isolette al largo della baia omonima, dal lato del Pacifico; Miyajima [宮島] è un’isola di fronte a Hiroshima e sede di un santuario famoso mentre Amanohashidate [天橋立] è una lingua di spiaggia sabbiosa con pinete a Wakasa, a nord-ovest di Kyōto.

56 KYZ, vol. 12, pp. 324-325. Cfr. SEID p. 79, SUGA p. 81 e SUGA 2 pp. 512-513.

57 La montagna più alta di tutto il Giappone (mt. 3776) è anche, simbolicamente, il punto più vicino al cielo in Giappone.

58 神道 Shintō è la “Via degli dei” (significato letterale). Shin è la lettura sino-giapponese dell’ideogramma che si legge kami in giapponese. Essi sono divinità autoctone (quindi preesistenti al buddismo, introdotto nel VI sec. d.C.). Lo Shintō è un sistema di credenze e di riti, una religione naturalistica che si basa sul culto delle forze e delle realtà della natura e sulla venerazione degli antenati. (Dal glossario a cura di Adriana BOSCARO in KATŌ Shūichi, Storia della Letteratura Giapponese, Vol. 1, Venezia, Marsilio, 1987, p. 342).

59 KNAPP, cit., p. 124.

60 KYZ, Vol. 12, pp. 325-326. Cfr. SEID pp. 80-81, SUGA pp. 81-82 e SUGA 2 pp. 513-514.

61 Ibid., p. 382. Cfr. SEID p. 130, SUGA p. 135 e SUGA 2 p. 566.

62 Idem.

63 KYZ, vol. 12, pp. 383-384. Cfr. SEID p. 132, SUGA p. 137 e SUGA 2 p. 568.

64 Ibid., p. 381. Cfr. SEID p. 129, SUGA p. 134 e SUGA 2 p. 565.

65 Sull’aspetto purificatorio della scrittura sarebbe interessante fare un parallelo (con le dovute differenze) con Svevo il quale, non a caso, è stato spesso accostato a Proust. Per approfondimenti, si veda Eduardo SACCONE, Commento a « Zeno », Bologna, Il Mulino, 1973, pp. 17-41.

66 KYZ, vol. 12, p. 464. Cfr. SEID p. 203, SUGA p. 211 e SUGA 2 pp. 641-642.

67 Si legga la nota 28 in PETERSEN, cit, p. 171.

68 KYZ, vol. 12, p. 468. Cfr. SEID p. 206, SUGA p. 215 e SUGA 2 p. 645.

69 Ibid., p. 468. Cfr. SEID p. 206, SUGA p. 215 e SUGA 2 p. 645.

70 Ibid., pp. 499-500. Cfr. SEID pp. 237-238, SUGA pp. 247-249 e SUGA 2 pp. 677-678.

71 Ibid., p. 508. Cfr. SEID p. 247, SUGA p. 258 e SUGA 2 p. 686.

72 Ibid., p. 508. Cfr. SEID p. 246, SUGA p. 258 e SUGA 2 p. 686.

73 Ibid., p. 417. Cfr. SEID p. 163, SUGA p. 169 e SUGA 2 pp. 600. Esattamente aodaishō (青大将, Elaphe climacophora), un serpente di colore verde-blu, di grande mole ma sostanzialmente innocuo. Vive in tutte le isole dell’arcipelago giapponese e si nutre di insetti e piccoli roditori.

74 KYZ, vol. 12, p. 417. Cfr. SEID p. 163, SUGA p. 169 e SUGA 2 p. 600.

75 L’originale (p. 418, cfr. SEID p. 163, SUGA p. 169 e SUGA 2 p. 601) fa riferimento ad una lunghezza maggiore di 1 ken (間), valente mt. 1, 8181.

76 KYZ, vol. 12, p. 418. Cfr. SEID p. 164, SUGA p. 170 e SUGA 2 p. 600.

77 TSURUTA Kinya, Two Journeys in “The Sound of the Mountain”, in TSURUTA Kinya – Thomas E. SWANN (a cura di), Approaches to the Modern Japanese Novel, cit., p. 98.

78 KYZ, vol. 12, p. 266. Cfr. SEID p. 26, SUGA p. 27 e SUGA 2 p. 461.

79 Ibid., p. 267. Cfr. SEID p. 27, SUGA p. 28 e SUGA2 p. 462.

80 LIPPITT, Kawabata’s Dilettante Heroes, in Reality and Fiction in Modern Japanese Literature, cit., pp. 120-145.

81 E’ evidente qui il parallelo tra il tempo della virilità di Shingo, ormai sfiorita, e il tempo della fioritura del girasole. Alla richiesta la bambina, infatti, non sa dare alcuna risposta.

82 KYZ, vol. 12, p. 430. Cfr. SEID p. 174, SUGA p. 180 e SUGA 2 p. 612.

83 Ibid., p. 430. Cfr. SEID pp. 174-175, SUGA pp. 180-181 e SUGA 2 p. 612.

84 TSURUTA Kinya, Two Journeys in “The Sound of the Mountain”, in TSURUTA Kinya – Thomas E. SWANN (a cura di), Approaches to the Modern Japanese Novel, cit., p. 96.

85 E il celeberrimo stagno di Tōkyō che ha preso il nome dal protagonista dell’omonimo romanzo di Natsume Sōseki (夏目漱石, 1867-1916).

86 KYZ, vol. 12, pp. 509-510. Cfr. SEID p. 249, SUGA p. 260 e SUGA 2 p. 688.

87 Ibid., pp. 510-511. Cfr. SEID p. 249, SUGA pp. 260-261 e SUGA 2 pp. 688-689.

88 Qui il riferimento potrebbe essere ai problemi del Giappone nel dopoguerra, quelli stessi ai quali le due lettere lasciate dal marito della coppia suicida sembrano alludere.

89 Quello che, idealmente, Shingo ottiene con il percorso degli otto sogni nel romanzo. Si veda TSURUTA Kinya, Two Journeys in “The Sound of the Mountain”, in TSURUTA Kinya – Thomas E. SWANN (a cura di), Approaches to the Modern Japanese Novel, cit., pp. 89-103.

90 KYZ, vol. 12, pp. 533-534. Cfr. SEID pp. 269-270, SUGA pp. 279-280 e SUGA 2 p. 708.

91 Ibid., p. 535. Cfr. SEID p. 271, SUGA p. 280 e SUGA 2 p. 709.

92 KYZ, vol. 12, pp. 535-536. Cfr. SEID p. 271, SUGA p. 281 e SUGA 2 pp. 709-710. Il riferimento alla frase conclusiva tra virgolette è ad una poesia, ma Shingo non ne ricorda l’autore.